Foscolo: analisi dei "Sepolcri" e struttura del carme

Analisi e commento del carme di Ugo Foscolo, Dei Sepolcri, a cura di Matteo Pascoletti.
 
In questa lezione si cerca di dividere in sequenze il complesso carme di Ugo Foscolo, cercando di spiegare i salti logici e di immagini che il poeta compie all'interno del componimento. Una prima sequenza (vv. 1-22), i versi incipitari in cui Foscolo si interroga sulla morte e sull'importanza del sepolcro. Questa sequenza si chiude con l'apostrofe a Ippolito Pindemonte. Una seconda sequenza, può essere ritrovata dai versi 23 a 50. In questa il poeta sembra violare la sua concezione materialistica, sostenendo che in qualche modo e seppure in maniera illusoria l'estinto sopravvive nei superstiti, attraverso una "corrispondenza di amorosi sensi". Il morto può essere ricordato dai vivi proprio grazie alla sepoltura, e coloro che sono in vita potranno ricordare e compiangere i defunti. Questo è visto come unico possibile superamento del vincolo della morte. In questi versi viene commemorato Giuseppe Parini, il poeta, che era stato seppellito senza esequie solenni e tumulato in una fossa comune.
Dal verso 91 a 150 c'è un forte salto logico: dall'attualità, Foscolo passa a parlare dell'origine dei riti funebri e quindi all'età antica. Per il poeta il culto dei morti e la sepoltura è il primo segno della civiltà umana, vengono quindi passati in rassegna i diversi modi di tumulare i defunti nel corso della storia fino a giungere nuovamente all'età contemporanea, cioè all'epoca napoleonica. Dal verso 151 Foscolo considera le tombe dei grandi uomini del passato, partendo da un'esperienza biografica: la visita a Santa Croce a Firenze. Questa chiesa ospita le tombe di uomini eccellenti come Machiavelli, Michelangelo e Galileo (vv. 154-167). Il poeta esprime le sensazioni che prova di fronte a tali tombe, e alla fine di questa lunga sequenza crea un nuovo salto logico, collegando i suoi sentimenti con l'immagine della battaglia di Maratona tra greci e persiani. Negli ultimi versi, dal 213 al 295, vengono ricordate le sepolture di vari eroi classici: Aiace, Elettra ed eroi troiani, Cassandra, Erittonio e Ilio. Foscolo fa parlare direttamente Cassandra, che evoca Omero e la sua poesia come mezzo per ricordare gli antichi eroi. In questi ultimi versi viene rilevata la funzione e l'importanza della poesia.
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Buongiorno e benvenuti a questa terza lezione dedicata al carme Dei Sepolcri di Ugo Foscolo. Vedendo in dettaglio la divisione del carme in possibili sequenze, si noterà una certa difficoltà perché, come già spiegato nelle lezioni precedenti, Foscolo fa vedere i propri salti logici, basandosi soprattutto sulle immagini e sulla capacità di staccare attraverso la retorica il contesto che stava trattando, trasportando poi la propria versificazione a tutt’altra sponda; in alcuni punti fa proprio dei salti passando dal presente all’epoca antica, trasportandosi da un luogo all’altro o introducendo figure retoriche, immagini fortemente vocative. Una prima sequenza può essere individuata nei vv. 1-22 dove il carme introduce una serie di interrogative tra le quali la prima è sicuramente la più famosa perché corrisponde all’incipit:

All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne
confortate di pianto è forse il sonno
della morte men duro? [...]

Qui il poeta si interroga su quello che è la morte e la forza che esercitano il tempo e la natura sul morto, ossia sul fatto che inevitabilmente tutto "involve", volge verso l’oblio e quindi verso la scomparsa; di conseguenza, il luogo e il modo in cui si è sepolti apparentemente non fanno alcuna differenza per quella che è la sorte, la caducità della materia che porterà inevitabilmente tutto a svanire. Foscolo chiude questa immagine con la speme, la speranza, l’ultima dea cioè l’immagine forte delle tre apostrofi a Pindemonte. 

Nella seconda sequenza (vv. 23-50) Foscolo viola il suo orizzonte materialista perché per quanto sia un’illusione, chiama questa illusione “Celeste è questa corrispondenza d’amorosi sensi, celeste dote è negli umani”, ossia il fatto che l’estinto riesca a vivere nei superstiti e quindi in questo modo a superare attraverso il ricordo e la sua capacità di ispirazione quello che è il normale vincolo della morte. È interessante l’uso dell’aggettivo “celeste” perché fa riferimento alla sfera divina e Foscolo che non è religioso in senso spiritualista, ed è anche difficile definirlo religioso in senso metafisico, usando questo aggettivo forza moltissimo il limite del suo sistema di idee e in questo ci dice quanto nella poesia attribuisca importanza alla funzione che hanno i morti per i vivi. Dice, concludendo questa sequenza, “Sol chi non lascia eredità d’affetti poca gioia ha dell’urna”, cioè solo chi in vita non si è fatto amare riesce a ricevere gioie dall’urna ed è interessante questo trasferire i sentimenti che si suscitano non tanto su chi rimane, ma su chi è defunto; del resto, proprio per questioni naturali, il defunto non prova emozioni. Al verso 51 viene introdotto lo spunto occasionale del carme, cioè l’editto di Saint Cloud che andava a modificare le regole di sepoltura rendendo obbligatorio il posizionamento delle tombe al di fuori dei nuclei abitativi e in forma anonima: “Pur nuova legge impone oggi i sepolcri fuor de’ guardi pietosi”, quindi lontano dagli sguardi pietosi, “e il nome a’ morti contende”, cioè sfida i morti togliendoli il nome proprio perché le lapide dovevano assenti o privi di segni di riconoscimento.

Qui introduce il primo morto illustre significativo, il Parini. Sebbene morto prima dell’editto, era stato infatti sepolto senza esequie solenni e tumulato in una tomba comune, quindi non all’altezza della sua fama, della sua capacità letteraria che era già grande in vita. Foscolo dice: “E senza tomba giace il tuo sacerdote, o Talia”, cioè per introdurre il concetto si rivolge alla musa della poesia dicendo che il suo sacerdote, il Parini stesso, giace senza tomba. Anche qui l’introduzione non è logica, ma è legata all’immagine della musa. Non solo dice che il Parini giace sepolto in modo del tutto anonimo (questa è l’ipotiposi che abbiamo visto nella seconda lezione), ma giace probabilmente insieme al cane randagio e all’upupa, l’uccello notturno, che sono lì vicino verso le tombe dei ladri; in sostanza, giace vicino alle tombe dei criminali pur essendo un uomo illustre.

Dal verso 91 al verso 150 c’è forse uno dei salti logici più significativi perché Foscolo, con una concezione vichiana del tempo quindi di un cammino progressivo della civiltà attraverso cui l’uomo passa diverse ere, va da Parini agli albori della civiltà umana, ossia quando nacque il culto religioso: “Dal di che nozze e tribunali ed are diero alle umane belve esser pietose di se stesse e d’altrui”; qui interessante è l’aggettivo “pietoso”, una concezione classica perché l’eroe virgiliano Enea è l’eroe della pietas, pertanto per Foscolo, l’uomo valoroso e civile deve per forza avere la dote della pietas. In questo passaggio, Foscolo dice in sostanza che quando cominciavano a essere celebrate le nozze e quando si sottrasse l’evento naturale e i morti cominciarono a essere tumulati e quindi pianti, l’uomo fu sottratto alla conduzione dell’umana belva, alla ferinità; di conseguenza il culto dei morti e la sepoltura, una concezione che riprende da Vico, rappresentano il primo segno della civiltà umana. In questa lunghissima sequenza passa in rassegna quelli che sono stati nel corso delle epoche i vari modi di tumulare e celebrare i morti, il rapporto che avevano dai domestici lari ai grandi uomini valorosi, eroici dei popoli fino ad arrivare all’epoca napoleonica, quindi all’epoca sua contemporanea e a far notare: “Ma ove dorme il furor d’inclite gesta e sien ministri al vivere civile l’opulenza e il tremore”, cioè dove il vivere civile è governato dall’opulenza, dall’avidità, dalla ricerca di benessere e dal tremore, quindi la paura “inutil pompa e inaugurate immagini dell’Orco sorgon cippi e marmorei monumenti” ossia, traducendo a senso: è inutile lo sfarzo con cui si celebrano i morti perché in realtà questi non servono a celebrare il valore delle gesta, ma è uno sfarzo fine a se stesso. La funzione civile viene quindi derubricata a una semplice ricerca di tombe eleganti e belle svuotate di significato. 

Introducendo la seconda apostrofe a Pindemonte, Foscolo passa al tema delle tombe dei grandi uomini (“A egregie cose il forte animo accendono l’urne de’ forti, o Pindemonte”) con l’uso di antonomasie e perifrasi, partendo dall’esempio autobiografico cioè dalla sua visita a Santa Croce a Firenze, dove vede le tombe di uomini che hanno fatto grande l’Italia: dal verso 154 al verso 167 abbiamo una serie di uomini illustri che non vengono mai nominati, ma allusi dai versi, cioè Machiavelli, Michelangelo e Galileo. Attraverso quello che lui ha provato, dice quanto è importante e quanto è forte l’effetto che hanno sull’animo questi uomini tanto che, ed è un altro salto logico interessante, chiude questa lunghissima sequenza collegando quello che prova: “Ah si! Da quella religïosa pace un Nume parla”. Cioè io sento parlare in me un lume da quella contemplazione così ammirata, “e nutria contro a’ Persi in Maratona ove Atene sacrò tombe a’ suoi prodi, la virtù greca e l’ira”, cioè la visione, il pensiero, l’ammirazione e il desiderio di emulazione suscitano quello che è l’immagine della battaglia di Maratona cui Foscolo associa un’altra lunghissima ipotiposi, cioè il legame di tempo vastissimo viene colmato e giustificato proprio grazie al valore di quegli uomini di cui è testimone Foscolo tramite la visita in Santa Croce. Quest’ultima parte è il preludio a un salto verso le figure di eroi classici: Aiace, che prenderà le insegne di Achille e quindi continuerà la memoria tramite quell’oggetto, ed Elettra. Interessanti sono anche le tombe degli eroi troiani perché in questo caso Foscolo fa parlare direttamente Cassandra, la profetessa maledetta da Apollo perché era stato rifiutato dalla donna, e le cui profezie non erano mai credute, secondo la leggenda. Tramite questa figura, Cassandra ci parla dei morti sepolti: “Ma i Penati di Troia avranno stanza in queste tombe; ché de’ Numi è dono servar nelle miserie altero nome.”, cioè prevede che anche nella sventura sarà conservato il nome dei valorosi. Questo è un riferimento alla funzione della poesia, ossia di Omero, che canterà il valore degli eroi troiani, Ettore in primo luogo; permetterà la poesia di farsi ispirare dalle tombe degli uomini celebri e quindi di far arrivare oltre confini imposti dal tempo e dalla caducità delle cose la memoria di quei valorosi che sopravviveranno alla stessa infausta sorte che conoscerà Troia. Su questo si chiude il carme e si chiudono anche le lezioni dedicate al carme Dei Sepolcri. Vi saluto. Arrivederci.