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Il teatro di Pirandello

Per una piena comprensione della poetica pirandelliana e dei suoi capisaldi principali (la “maschera”, la “parte” che ciascuno di noi gioca, il ruolo della “forma” e la funzione disvelatrice della follia) non può non essere presa in considerazione la carriera teatrale dello scrittore agrigentino che, sin dai primi scritti (databili attorno all'ultimo decennio del XIX secolo), affianca alla propria produzione narrativa (che si concretizza nei primi romanzi e nella raccolta delle Novelle per un anno) l’attività per le scene, che contribuisce a consacrare la fama di Pirandello fino al premio Nobel del 1934.

Mentre già le prove narrative presentano molte tracce di quella che diventerà la professione principale di Pirandello, la vocazione per la scrittura teatrale è assai precoce in lui: l’atto unico L’epilogo è del 1892 (poi in scena come La morsa) e Il nibbio del 1895, ripresa poi nel 1916 dalla compagnia milanese di Marco Praga, con il nuovo titolo Se non così. Ed è proprio in questi anni che Pirandello (che ha già alle spalle Il fu Mattia Pascal, I vecchi e i giovani e il saggio L’umorismo) si orienta in maniera decisa verso l’attività di drammaturgo. All’invito del catanese Nino Martoglio corrisponde infatti la riduzione teatrale della novella Lumìe di Sicilia (1910) fanno seguito una serie di opere - quelle della cosidetta fase del “teatro siciliano”, tra cui possiamo citare Pensaci, Giacomino!, Liolà, Il berretto a sonagli e La giara - che vedono Pirandello lavorare a stretto contatto con l’attore Angelo Musco, e in costante interscambio con novelle e capitoli di romanzo, che spesso costituiscono la base per l’invenzione drammaturgica vera e propria. Nel 1917 - in un periodo esistenzialmente difficile per la prigionia del figlio, volontario di guerra, e per le sempre più gravi condizioni psichiche della moglie, mai ripresasi dallo shock per l'allagamento delle zolfare di famiglia nel 1903 - Pirandello inaugura con Così è (se vi pare) e Il piacere dell’onestà la fase “umoristica” della propria produzione, in cui la poetica del disvelamento delle ipocrisie della forma quotidiana e convenzionale della realtà trova nelle “maschere” dei personaggi teatrali un validissimo alleato. Questa prospettiva relativistica (che ritroviamo in opere sempre tratte o ispirate da novelle, come La patente, Ma non è una cosa seria o Il giuoco delle parti) e fortemente critica nei confronti delle convenzioni borghesi poggia su alcuni elementi ricorrenti: la presenza di un protagonista che, più che agire, s’interroga sulla propria identità e sul modo in cui è visto dagli altri; la scomposizione della “forma” ufficiale della realtà per mezzo della deformazione ironica; la paradossale e amarissima presa di coscienza che per vivere è tuttavia necessario giocare una parte o vestire una maschera. Tutti elementi che l’autore porta al massimo livello espressivo nell’unica opera da lui stesso definita “tragedia”, ovvero l’Enrico IV del 1922.

Già l’anno precedente tuttavia, con la “prima” dei Sei personaggi in cerca d’autore, il teatro di Pirandello ha conosciuto la terza svolta significativa, quella del metateatro 1, in cui la riflessione sulla reale consistenza della condizione umana porta a disgregare progressivamente (come si vede nella trilogia che ai Sei personaggi fa seguire Ciascuno a suo modo nel 1924 e Questa sera si recita a soggetto nel 1930) le regole stesse della pratica della messa in scena. Il conflitto tra forma e vita (o tra realtà e rappresentazione finzionale) viene trasposto oltre la “quarta parete” scenica, analizzando e scandagliando dalle radici la possibilità stessa di una finzione separata dalla vita, nella distanza incolmabile tra ciò che i personaggi sono e ciò che sono chiamati ad essere in scena. I temi tipici del Pirandello "filosofo" (il relativismo delle convinzioni umane, la multisfaccettatura del reale, la dialettica tra "maschera" e "forma" dell'esistenza umana) si ritrovano tutti anche nella scrittura per il teatro: lo stile dell'autore si compone del resto di tessere ed elementi che possono adattarsi bene sia alle scene di palcoscenco sia alle pagine di romanzo.

La radicale (e straniante) innovazione pirandelliana, che ha conseguenze di ampia portata sul tutto il linguaggio teatrale del tempo, si chiude allora nella quarta fase, quella dei “miti” (in cui annoveriamo La nuova colonia, Lazzaro e l’incompiuto I giganti della montagna): qui Pirandello, scegliendo esplicitamente ambientazioni mitico-favolistiche, pare proiettare la propria riflessione in una dimensione “altra”, utopica ed immaginifica. La nuova colonia, scritta nel 1926 e rappresentata per la prima volta nel 1928, vede un gruppo di sbandati e reietti dall società sbarcare su un'isola per fondare una società giusta e libera da vincoli ed oppressioni di quella ufficiale. Tuttavia, il proposito idillico ed utopico (in cui pare riflettersi il sogno dell'"uomo nuovo" di molte ideologie novecentesche) è destinato all'insuccesso: lo sbarco sull'isola di padron Nocio, che porta donne e soldi, riaccende gli istinti egoistici insiti in ogni uomo; alla rovina dell'Eden corrisponde una sorta di catarsi conclusiva, quando un violentissimo terremoto fa affondare l'atollo. Unici a salvarsi (e simboli di un residuo di ottimismo) sono La Spera, un'ex prostituta, e il suo figlio in fasce. Lazzaro (1929) tocca invece il tema della religione e del suo rapporto con la scienza moderna. Diego Spina è un padre autoritario e severissimo, che impone a moglie e figli una inflessibile morale religiosa; la fuga della moglie con un fattore è solo il primo momento della crisi, che esplode quando il figlio Lucio rifiuta il sacerdozio: Diego muore accidentalmente, ma uno scienziato positivista, sperimentando su di lui un nuovo ritrovato della tecnica, lo riporta in vita, come un nuovo Lazzaro della parabola evangelica. L'episodio, ai limiti del soprannaturale o della fantascienza, ha conseguenze impreviste: Diego Spina, scoperto che dopo la morte c'è il nulla, perde ogni convinzione trascendente, mentre Lucio riscopre la fede perduta.

Tuttavia è ne I giganti della montagna che, attraverso anche il recupero dell’idea del teatro nel teatro, Pirandello corona la sua parabola di drammaturgo: l'opera, lasciata incompiuta, ruota attorno ai tentativi della compagnia teatrale della contessa Ilse di rappresentare La favola del figlio cambiato, un testo pirandelliano che, nella finzione, è attribuito ad un poeta suicidatosi per protestare contro l'insensibilità dei tempi moderni nei confronti dell'arte. Giungono in soccorso il mago Cotrone e le misteriose creature dell'incantata Villa Scalogna, che diventano simbolo dell'arte che, indifferente ai condizionamenti della realtà o ai consensi del pubblico, si contenta di se stessa. Ilse tuttavia rifiuta, convinta che l'arte e la bellezza debbano avere un effetto concreto sul mondo; l'arrivo terrificante dei Giganti della Montagna (metafora invece della razionalità e degli interessi puramente materiali della società), che concedono che la pièce sia messa in scena solo ad uso della servitù, coincide con l'interruzione del testo: in base ad appunti pirandelliani, pare che I giganti della montagna avrebbe dovuto concludersi in tragedia. La ribellione del pubblico alla rappresentazione - segno estremo dell'ultima, cupa riflessione dell'autore sulla funzione e l’utilità dell’arte nella società umana - si conclude con l'omicido di Ilse, il cui cadavere è trascinato via "spezzato come quello di un fantoccio rotto".

1 Definita anche come “teatro nel teatro”, è la fase in cui Pirandello riflette, attraverso l'artificio di trasportare all'interno della rappresentazione la messa in scena stessa, sulla natura fittizia ed illusoria dell'attività teatrale e, più in generale, sul fatto che ogni nostra attività nella vita reale avviene su un "palcoscenico" di cui sono spettatori gli altri; il procedimento - non inedito nella storia del teatro: basti pensare a Plauto, Goldoni o a Shakespeare e al suo Amleto, è comunque uno dei tratti distintivi del teatro pirandelliano, e getta le base per gran parte del teatro e della letteratura d'avanguardia del Novecento.