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Marx, “Il Capitale”: il plusvalore e le crisi del sistema borghese

Del Capitale, sintesi più organica del pensiero di Karl Marx (1818-1883), viene inizialmente pubblicato nel 1867 il primo libro, e saranno poi le cure di Engels ad assicurare nel 1885 e nel 1894 l’edizione degli altri due volumi (un quarto tomo, le Teorie del plusvalore, sarà edito da Karl Kautsky tra 1905 e 1910).

 

Qui Marx concentra i suoi ragionamenti in materia di economia politica e di analisi interna della struttura logica e di significato del capitalismo moderno, secondo una prospettiva di ricerca che coniuga sempre l’analisi teorica (Marx si confronta sia con i “classici” del pensiero economico come Smith e Ricardo che, polemicamente, con i suoi contemporanei) con la ricognizione pratica sui problemi e le contraddizioni del mondo reale. Se allora i concetti di “merce”, “valore d’uso” e “valore di scambio” (cioè, l’“equivalente generale” di tutte le merci) compongono le fondamenta teoriche del suo ragionamento e se il “capitale” è una misura d’ordine e di relazione sociale in quanto crea un rapporto tra individui attraverso il mercato e i mezzi di produzione, centrale è lo studio del processo di valorizzazione degli oggetti e dei beni sotteso a tutto il sistema. Questo perché, confutando la tesi che il sistema borghese-capitalista sia un fatto naturale ed irrinunciabile, Marx vuole sottolinearne la perversa mistificazione di fondo: se il valore di scambio delle merci è superiore al valore della sua produzione, da qualche parte nel processo un elemento - il plusvalore: “chiamo plusvalore [...] questa eccedenza sul valore originario” -  è intervenuto a favore del capitalista. Si tratta del valore aggiunto nel processo di produzione di un bene, fornito dalla forza-lavoro dell’operaio salariato, e il cui “saggio” (cioè il rapporto tra il plusvalore totale e il capitale investito dall’industrale borghese nella forza-lavoro) dà la misura dello sfruttamento capitalistico.

 

In questo rapporto tra i diversi attori del sistema produttivo - di cui Marx analizza anche le diverse fasi storiche, dall’emergere della divisione del lavoro, alla manifattura, all’industria delle macchine e all’affermazione del lavoro parcellizzato - si possono così notare alcune evidenti contraddizioni. Il sistema capitalista, per sua intima natura, tende infatti costantemente al superamento dei propri limiti, nella direzione dell’accumulo perpetuo:

 

Il vero limite della produzione capitalistica è il capitale stesso, è questo: che il capitale e la sua autovalorizzazione appaiono come un punto di partenza e un punto di arrivo, come motivo e scopo della produzione; che la produzione è solo produzione per il capitale, e non il contrario: [...]. Il mezzo - lo sviluppo incondizionato delle forze produttive sociali - viene permanentemente in conflitto con il fine ristretto, la valorizzazione del capitale esistente.

Il contrasto latente tra la natura sociale della produzione e il fatto che il “fine ristretto” segua le logiche dell’accumulazione privata diventa palese durante le crisi di sovrapproduzione che ciclicamente colpiscono l’economia borghese (“le medesime circostanze che hanno accresciuto la forza produttiva del lavoro, aumentato la massa dei prodotti, ampliato i mercati, accelerato l’accumulazione di capitale come massa e come valore, e diminuito il saggio di profitto, hanno creato una sovrapproduzione relativa e creano continuamente una sovrapproduzione di operai, che non possono venire assorbiti dal capitale in eccesso”). Da qui la spiegazione marxista che evidenzia il “conflitto” tra soddisfazione di bisogni e produzione di utili, e tra domanda e offerta:

 

Poiché il capitale non ha come fine la soddisfazione dei bisogni ma la produzione del profitto, e poiché può realizzare questo fine solo usando metodi che regolano la massa dei prodotti secondo la scala della poduzione e non inversamente, si deve necessariamente venire a creare un continuo conflitto fra le dimensioni limitate del consumo su basi capitalistiche ed una produzione che tende continuamente a superare questo limite che le è assegnato.

Il progresso della storia e dell’umanità, che pure ha avuto dalla civiltà e dalla cultura borghese un’accelerazione decisiva, deve ora superare secondo Marx questo stadio socio-economico, per svincolarsi definitivamente dalla logica dell’appropriazione capitalistica:

 

Non viene prodotta troppa ricchezza. Ma periodicamente viene prodotta troppa ricchezza nelle sue forme capitalistiche, che hanno un carattere antitetico.