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Leopardi, "Ciclo di Aspasia" e "Ultimi Canti": struttura e analisi

Introduzione: l’ultima stagione poetica di Leopardi (1830-1837)

 

Da Recanati a Firenze

 

La poesia Leopardi dell'ultima stagione creativa presenta diversi elementi di novità. Dopo il periodo dei cosiddetti “grandi idilli”, conclusosi nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, il poeta abbandona il “natio borgo selvaggio” 1 di Recanati per recarsi a Firenze. Nel capoluogo toscano Leopardi non incontra però un terreno ospitale per le sue idee e per la sua concezione di poesia: il clima della Restaurazione, la situazione critica della cultura italiana e dell’uomo di lettere (già analizzata nel Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani del 1824-1826) e la diffusione della corrente dello spiritualismo si oppongono all’atteggimento ateo e materialistico che il poeta ha ormai maturato.

A ciò s’aggiunge il fallimento dei moti insurrezionali del 1830-1831, che, agli occhi dello scrittore, simboleggia la crisi definitiva della corrente liberal-moderata, da cui Leopardi, vicino ai principi dell’Illuminismo, si sente completamente estraneo.

 

L’evoluzione della poetica leopardiana

 

Dal punto di vista tematico, nel “ciclo di Aspasia” ritroviamo la concezione tragica dell'esistenza e l’approdo al pessimismo cosmico, già maturati nelle Operette morali e nei Canti e che ora vengono affrontati col tono aspro con cui si afferma in maniera perentoria il crollo definitivo delle illusioni. In particolare, è la sofferenza amorosa e l’opposizione allo spiritualismo ottocentesco a muovere la penna dello scrittore, che si rivolge sarcasticamente contro la fiducia ottimistica nel progresso materiale e spirituale del genere umano.

In questo senso, le convinzioni materialistiche leopardiane evolvono - secondo la celebre formula coniata dal critico letterario Walter Binni 2 - in verso una poetica “eroica”, che, nell’ultimo periodo di vita del poeta, lo porta a riaffermare con forza il rifiuto di illusorie consolazioni ideali, per trovare invece nella solidarietà tra uomini lo strumento per opporsi alla Natura matrigna.

Dal punto di vista linguistico e stilistico, l’armonia sintattica e ritmica dei Canti muta di tono, assumendo tratti più aspri e duri, che esprimono la tragicità della realtà personale del poeta, e la sua prospettiva amaramente ironica sulle illusioni umane.

 

Il Ciclo di Aspasia: poetica e tematiche

 

Una delle più consistenti novità tematiche dell’ultimo Leopardi è senza dubbio la passione amorosa; rispetto alle liriche precedenti (si pensi alla celebre A Silvia oppure alla Nerina de Le ricordanze), la novità sostanziale è che ora si tratta di un amore concreto (ma mai corrisposto), quello per Fanny Targioni Tozzetti (1805-1889), nobildonna fiorentina che Leopardi trasfigura col nome di Aspasia, l’etera di cui si innamorò Pericle nel V secolo a.C.

La passione e la successiva delusione amorosa di Leopardi si articola in cinque testi composti tra il 1831 e il 1834. Qui il poeta descrive il sentimento come un’esperienza totalizzante 3, che riempie ed arricchisce l’animo dell’uomo e mostra la mediocrità del mondo circostante o di coloro che non ne sono toccati. A ciò fa ovviamente da contraltare l’acuta e profonda disillusione, che spinge Leopardi a svelare l’inganno dei sentimenti e la condizione di infelicità umana, desiderando la morte come fuga dalla vanità del mondo.

Il pensiero dominante (composto probabilmente nella primavera-estate del 1831) è il primo testo del “ciclio”, e sviluppa il tema dall’assolutezza della passione, che modifica radicalmente l’animo umano e lo spinge ad azioni memorabili e degne. In Amore e morte (autunno 1832-1833) emerge già la componente distruttiva della passione e delle sue illusioni, che possono essere messe a tacere solo dalla morte, intesa come fine dei dolori terreni. Consalvo (1831-1833) è invece una breve novella in versi in cui il protagonista svela il proprio more all’amata Elvira solo in punto di morte.

In A se stesso (primavera 1833), uno dei vertici della poesia leopardiana. l’autore afferma in maniera perentoria che la vita è priva di ogni speranza e spiega che:

[...]. Non val cosa nessuna
i moti tuoi, né di sospiri è degna
la terra. Amaro e noia
la vita, altro mai nulla; e fango è il mondo 4.

Il tema della "infinita vanità del tutto" torna anche in Aspasia (primavera 1834), testo di chiusura del “ciclo”, che canta la dolorosa disillusione del poeta e la sua consapevolezza che anche l’amore è solo un inganno.

 

Gli ultimi testi e La ginestra

 

La “Palinodia” e i “Paralipomeni”

 

L’irrealizzabilità della passione amorosa e la parallela maturazione della poetica “eroica” sono le premesse da cui Leopardi parte per l’ultima parte della sua vita, dal 1834 al 1837.

Un testo decisamente significativo in tale ottica è la Palinodia al marchese Gino Capponi (primavera 1835), una lunga epistola in endecasillabi sciolti in cui il poeta, rivolgendosi allo storico e politico Gino Capponi (1792-1876), esponente della corrente liberal-moderata toscana, finge di ritrattare le proprie posizioni filosofico-letterarie e il proprio pessimismo, con tono satirico e stile letterariamente elaborato. Al tempo stesso, Leopardi mostra sottilmente l’infondatezza dei miti del progresso scientifico e della modernità, che, secondo il poeta, distrugge la felicità umana.

Accomunati a questa prospettiva sono i Paralipomeni della Batracomiomachia (composti a partire dal 1830-1831), un’opera satirica contro i sovrani italiani, i moti risorgimentali delle società segrete e gli intellettuali liberal-romantici. Sempre di questo filone, amaro e disilluso, fa parte I nuovi credenti (1835), una satira in versi che polemizza ancora contro lo spiritualismo cattolico. Ritorna anche il tema della morte, costante nella poetica leopardiano, in due canzoni “sepolcrali” come Sopra un basso rilievo antico sepolcrale (1834-1835) e Sopra il ritratto di una bella donna (1834-1835).

 

“La ginestra” e “Il tramonto della luna”

 

Ma è con La ginestra (1836) che il poeta tocca il vertice della propria poesia; è qui che, come scrive Walter Binni in La protesta di Leopardi, “si svolgono più apertamente i motivi eroici del suo animo, le punte estreme della poetica leopardiana”; in questa lirica una solitaria ginestra, che cresce sul Vesuvio, induce il poeta a riflettere sulla possibile fratellanza tra uomini, come unico conforto e difesa contro la Natura, “che de’ mortali | madre è di parto e di voler matrigna” 5. Secondo l’ultimo Leopardi, solo un coerente materialismo - che però non sfoci in un nichilismo nullificante - e un avvertito razionalismo, ispirato dai valori illuministi, consentono di affrontare la tragica realtà dell'esistenza, aprendo una prospettiva di solidarietà tra gli esseri umani.

L’ultimo testo leopardiano viene composto pochi giorni prima della morte, il 14 giugno 1837: Il tramonto della luna riprende alcuni temi cari al poeta (la fine della giovinezza, il crollo delle illusioni, la morte come fine della vita umana), chiudenodo l’esperienza poetica dello scrittore su toni di cupo ed incurabile pessimismo.

 

Bibliografia

  • G. Leopardi, Canti, a cura di N. Gallo e C. Garboli, Torino, Einaudi, 1993.
  • W. Binni, La protesta di Leopardi, Firenze, Sansoni, 1973.
  • Id., La nuova poetica leopardiana, Sansoni, Firenze, 1997.
  • E. Bigi, Ideologia e passione nei Canti di Aspasia, in Poesia e critica tra fine Settecento e primo Ottocento, Milano, Cisalpino, 1986.

1 G. Leopardi, Le ricordanze, in Canti, a cura di N. Gallo e C. Garboli, Torino, Einaudi, 1993, p. 178, v. 30.

2 W. Binni, La protesta di Leopardi, Firenze, Sansoni, 1973, e poi La nuova poetica leopardiana, Sansoni, Firenze, 1997.

3 Così il critico Emilio Bigi: “suprema manifestazione vitale, che impegna il nucleo più vitale e genuino della nostra individualità terrena, e quindi quale massima espressione dell'umana tensione alla felicità” (E. Bigi, Ideologia e passione nei Canti di Aspasia, in Poesia e critica tra fine Settecento e primo Ottocento, Milano, Cisalpino, 1986).

4 G. Leopardi, A se stesso, in Canti, cit., p. 229, vv. 7-10.

5 G. Leopardi, La ginestra, in Canti, cit., p. 279, vv. 124-125).