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Giuseppe Garibaldi e la spedizione dei Mille

Introduzione

 

La conquista del Regno delle Due Sicilie da parte dei volontari in camicia rossa guidati da Garibaldi è, probabilmente, l’immagine del Risorgimento di maggiore potenza simbolica e quella che meglio di ogni altra rimanda all’idea del processo di unificazione italiano.

L’impresa non solo consacra definitivamente Garibaldi come stratega e come trascinatore, ma diffonde anche il mito della guerra di popolo, poiché un’armata di volontari 1 riesce a sconfiggere un esercito di 93.000 uomini e una delle dinastie più retrive e reazionarie d’Italia 2.

 

La situazione nella penisola italiana nel 1860

 

Alla fine degli anni ’50 dell’Ottocento la penisola italiana appare diversa rispetto al panorama determinato dal Congresso di Vienna, dato che il numero di Stati che occupano il territorio della penisola si è sensibilmente ridotto: il Regno di Sardegna ha, durante e dopo la seconda guerra d’indipendenza (1859) non solo sottratto la Lombardia all’Impero d’Austria, ma anche inglobato in sé i ducati di Modena e Parma, il Granducato di Toscana e le legazioni pontificie. Lo Stato Pontificio vede i propri confini restringersi al Lazio, l’Umbria e le Marche 3, il Lombardo-Veneto ormai coincide con la regione di Venezia più Mantova; il Regno delle Due Sicilie invece ha mantenuti invariati i propri possedimenti.

Proprio il regno meridionale è al centro di un cambiamento rilevante quando, il 22 maggio 1859, muore Ferdinando II di Borbone lasciando il trono al figlio ventitreenne, Francesco II, inesperto in politica, educato solo secondo rigidissimi principi religiosi. Francesco II è novello sposo di Maria Sofia di Wittelsbach-Baviera, donna molto più ambiziosa e decisa di lui. A indebolire ulteriormente la posizione delle Due Sicilie contribuisce il contrasto, maturato tra il 1820 e il 1840, tra i Borbone di Napoli e la Gran Bretagna per quanto riguarda il prezzo e le modalità di vendita degli zolfi siciliani. Durante la prima metà del secolo (soprattutto in funzione antinapoleonica) il governo di Londra si era fatto garante della monarchia napoletana, di stampo decisamente illiberale: lo scontro commerciale porta le Due Sicilie definitivamente fuori dalla sfera di protezione inglese e, nel 1840, la flotta britannica arriva a bloccare il porto di Napoli per ricondurre Ferdinando II a più miti consigli.

È evidente che l’oggettiva debolezza diplomatica e dinastica dei Borbone attiri l’attenzione di tutte le forze interessate al crollo del Regno delle Due Sicilie: i patrioti repubblicani e, in maniera più indiretta, il governo di Torino di Camillo Benso di Cavour. Dopo l’exploit ottenuto con icosiddetti “cacciatori delle Alpi” durante la Seconda guerra d’indipendenza, gli occhi di tutti sono volti a Giuseppe Garibaldi, unanimemente identificato come il generale destinato a portare a termine l’invasione del Sud della penisola. Il condottiero di Nizza, tuttavia, è consapevole di come i tentativi di far scoppiare insurrezioni nel Meridione siano tutti tragicamente falliti, da quello dei fratelli Bandiera a quello di Carlo Pisacane. Egli subordina quindi l’inizio del reclutamento di nuovi volontari a due precise condizioni:

  • che il suo intervento fosse espressamente richiesto dalle popolazioni meridionali in rivolta, onde evitare le accoglienze ostili dei casi precedenti;
  • di agire nel nome e per conto di Vittorio Emanuele II, onde non disperdere l’azione dei patrioti in troppe iniziative tra loro contrapposte che avrebbero solo ritardato l’unità nazionale.     

È bene notare che Garibaldi, personalmente da sempre di idee repubblicane, raggiunge in questa occasione l’apice di un percorso verso il completo realismo politico, anteponendo all’obiettivo di instaurare una repubblica quello di unificare la penisola in un unico Stato, sia pure retto monarchicamente, ed identificando in Casa Savoia la dinastia maggiormente in grado di ottenere un tale risultato. Cavour, da parte sua, è più che mai diffidente verso il generale e i suoi volontari, non solo perché diffidi del loro democratismo ma piuttosto perché teme che i loro preparativi siano volti ad una spedizione verso Roma, che attirerebbe in Italia le ire e gli eserciti di Napoleone III.

La polizia piemontese, quindi, sorveglia attentamente Garibaldi e i suoi collaboratori quando questi, nell’ottobre 1859, cominciano l’arruolamento di nuovi volontari e lanciano una sottoscrizione nazionale per l’acquisto di un milione di fucili. Avute rassicurazioni sul fatto che i territori del Papa non sarebbero stati toccati, tuttavia, il governo sardo contribuisce con le proprie finanze (ovviamente clandestinamente) all’armamento dei garibaldini. Anche la compagnia genoveseRubattino mette a disposizione dei volontari due piroscafi (il Piemonte ed il Lombardo) che tuttavia i garibaldini fingono di rubare, salvando così le apparenze di fronte alla comunità internazionale. I Mille si imbarcano dunque da Quarto verso la Sicilia nella notte tra il 5 e il 6 maggio 1860.

 

Lo sbarco a Marsala, la conquista della Sicilia

 

Dopo una breve sosta a Talamone per rifornirsi di armi, i due piroscafi arrivano in vista di Marsala l’11 maggio e lo sbarco degli uomini in armi è facilitato dalla presenza - in realtà del tutto casuale - di unità navali inglesi fuori dal porto, il che impedisce alle truppe borboniche di respingere con l’artiglieria i piroscafi dei garibaldini.

Arrivato a Salemi il 14 maggio, Garibaldi proclama la dittatura 4 in nome del re di Sardegna. I Mille, nel frattempo, vengono raggiunti da circa nei giorni immediatamente successivi allo sbarco cinquecento “picciotti” siciliani e, forti delle nuove reclute, iniziano a risalire l’isola in direzione dello stretto. Il primo scontro avviene a Calatafimi il 15 maggio quando circa 1500 volontari investono e mettono in rotta 4000 borbonici guidati dal generale Francesco Landi. Questa vittoria apre a Garibaldi la strada per Palermo: i Mille arrivano alle porte della capitale siciliana dodici giorni dopo, impegnando le truppe governative in scontri sanguinosi al ponte dell’Ammiragliato, a Porta Termini e Porta Sant’Antonio. Nel frattempo scoppia un’insurrezione all’interno della città e garibaldini ed insorti si trovano a dover conquistare la città strada per strada, sotto il bombardamento delle navi borboniche ancorate nel porto, questa volta assolutamente non ostacolate dalle unità britanniche presenti sul posoto. Il 30 maggio la città è completamente in mano dei garibaldini: il generale si proclama dittatore e nomina un governo provvisorio coordinato da Francesco Crispi

Le fila dei Mille, nel frattempo, continuano ad ingrossarsi grazie all’apporto di contingenti di volontari provenienti da ogni parte d’Italia: il maggior numero di combattenti richiede una più specifica organizzazione ed i volontari di Garibaldi vengono strutturati nell’Esercito meridionale. Nel tentativo di frenare l’insurrezione dei siciliani, e di sottrarre quindi energie al reclutamento garibaldino, Francesco II concede una Costituzione e cambia la bandiera del regno inscrivendo lo stemma borbonico nel bianco del tricolore, ma queste misure, tardive e chiaramente percepite come strumentali, non ottengono alcun risultato concreto.

Alla fine di luglio, dopo la vittoria garibaldina a Milazzo e la presa della città di Messina (ma non della cittadella, che tuttavia si astiene da qualsiasi azione ostile), la Sicilia è completamente nelle mani dei patrioti.

 

L’occupazione del Mezzogiorno continentale

 

Quando le camicie rosse sbarcano a Melito, il 19 agosto 1860, sono ormai circa ventimila e le truppe borboniche non riescono a organizzare alcuna resistenza efficace. In Lucania, in seguito, il passaggio dei volontari è completamente pacifico poiché la regione si è già ribellata ai Borbone prima dell’arrivo dei garibaldini. Il 6 settembre, Francesco II di Borbone e Maria Sofialasciano la capitalee, con quanto rimane dell’esercito delle Due Sicilie, stabiliscono una linea di difesa che unisce le due fortezze di Capua e Gaeta e, ad est, si snoda lungo il corso del fiume Volturno. Il giorno successivo, Garibaldi entra a Napoli da liberatore tra ali di folla festante.

Di fronte alla ragionevole certezza della vittoria dei Mille, Cavour e Vittorio Emanuele IIconsiderano arrivato il momento di prendere direttamente parte alle operazioni, anche per non lasciare troppo margine di manovra a Garibaldi, di cui diffidano, e temendo che possa essere influenzato in senso antisabaudo dal suo entourage mazziniano. Le truppe piemontesi invadono quindi l’Umbria e le Marche, prendendo a pretesto la repressione di alcune rivolte: in questo modo l’esercito sardo non solo crea un “corridoio” per unificare i domini dei Savoia con l’ex regno borbonico ma si stabilisce su posizioni che, eventualmente, consentirebbero di bloccare l’esercito garibaldino se questo decidesse di proseguire la risalita in direzione di Roma. L’unica resistenza dei volontari papaliniè a Castelfidardo ma l’esercito sabaudo, meglio armato e maggiormente preparato, li mette rapidamente in rotta e prosegue fino alla presa di Ancona.

Adducendo la ragione di mettere in sicurezza la capitale pontificia, Vittorio Emanuele II priva il Papa di vaste porzioni dei propri domini, che alla fine del 1860 sono ridotti al solo Lazio. Al di là del confine napoletano, intanto, il contatto tra l’esercito meridionale di Garibaldi e quello borbonico avviene lungo il corso del Volturno, dove ha luogo l’unico vero scontro campale di tutta la campagna. La battaglia, che si risolve in realtà di una lunga serie di scontri isolati fra loro, vede alla fine prevalere i garibaldini nonostante la forte inferiorità numerica (sono circa la metà dei loro avversari). Nonostante gli ordini perentori di Cavour di mantenere la neutralità, prendono parte alla battaglia del Volturno anche alcune divisioni dell’armata regolare piemontese.

 

L’incontro di Teano e la nascita del Regno d’Italia

 

La spedizione dei Mille si chiude, simbolicamente, il 26 ottobre 1860 quando Garibaldi e Vittorio Emanuele II si incontrano a Taverna della Catena, presso Vairano, benché l’incontro sia poi passato alla storia con il nome di una vicina località come “incontro di Teano”. In quest’occasione, Garibaldi saluta il sovrano piemontese come “Re d’Italia” e gli cede tutti i territori conquistati a partire dal maggio precedente.

Francesco II e Maria Sofia, asserragliati con ciò che resta delle loro truppe nella fortezza di Gaeta, resistono fino al febbraio 1861 quando, perso anche l’ultimo lembo di terra napoletana, si ritirano in esilio nella Roma dei Papi. I plebisciti dell’ottobre 1860 sanciscono l’annessione dell’ex Regno delle Due Sicilie a quello di Sardegna, che ora governa gran parte dei territori della penisola e che, il 17 marzo 1861, prende il nome di Regno d’Italia. L’unificazione territoriale, ancora incompleta, e la denominazione “Regno d’Italia” non bastano, da soli, a creare una nuova nazione: gli anni successivi al 1860 sono caratterizzati da una profonda crisi politica e un ferocissimo scontro militare nel meridione che, pur derubricato dai vincitori come fenomeno criminale ed assimilato al brigantaggio, da sempre presente nel Sud, è destinato a fare più vittime di tutte le precedenti guerre del Risorgimento.

Le élites italiane - e quindi anche meridionali - che ora dirigono il nuovo Stato si dimostrano infatti incapaci di dare una risposta credibile alle profonde disparità sociali e culturali tra i popoli della penisola. Il disagio delle popolazioni rurali meridionali, inevitabilmente, prende i contorni di una guerriglia “antipiemontese” e legittimista.

1 Agli originari 1089 combattenti se ne aggiungono molti altri, abitanti delle Due Sicilie decisi ad abbattere i Borbone,

2 La camicia rossa, poi diventata l’icona più riconoscibile del volontarismo risorgimentale, era stata adottata da Garibaldi per le sue truppe fin dalla guerra in Uruguay nel 1843. A dispetto di ogni valenza politica assunta in seguito, il colore rosso era stato scelto solo per il basso prezzo di quel tipo di panno, di solito adottato dai macellai per mascherare le macchie di sangue. Indissolubilmente legata al mito di Garibaldi, la camicia rossa conosce una discreta diffusione anche all’estero: dopo la visita del generale in Inghilterra nel 1864, anche una locale squadra di calcio, il Nottingham Forest, decide di adottare maglie da gioco rosse in onore del condottiero italiano.

3 Senza l’attuale provincia di Latina, all’epoca appartenente alle Due Sicilie come parte della provincia di Terra di Lavoro.

4 Da intendere qui nel senso di governo provvisorio e con poteri speciali.