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Carducci, "Nevicata": parafrasi e commento

Introduzione

 

Breve componimento in distici elegiaci (come già Nella piazza di San Petronio) secondo le norme della metrica “barbara” carducciana, Nevicata reca in calce la data 29 gennaio 1881 (il poeta completa poi il componimento nel marzo dello stesso anno), radicandosi cioè in un periodo luttuoso per il poeta, che aveva da pochissimo perduto l’amata Carolina Cristofori Piva, trasfigurata in versi col nome latino di Lidia. Del resto, il tema della morte e della sofferenza dell’abbandono attraversa tutta la poesia carducciana, diventando progressivamente uno dei Leitmotiv dell’invenzione letteraria, coniugandosi benissimo sia con la sensibiltà tardo-romantica con cui Carducci descrive i paesaggi naturali sia con la sua tendenza a proiettare nostalgicamente nel passato i propri ricordi più felici.

 

Analisi

 

Lo scenario su cui si apre il componimento è allora quello di una fitta nevicata che ammanta la città di Bologna (alla cui identità geografica Carducci solo allude), contemplata dal poeta da una finestra del suo studiolo, secondo una spiccata inclinazione intimo-malinconica. Prevalgono le impressioni foniche, dato che il cielo “cinerëo” stende una coltre uniforme (e quasi funebre) sul paesaggio urbano. Da qui, non giungono all’orecchio del poeta i “suoni” e i rumori consueti: né le grida, né il rumore di un carro che attraversi le vie, o (addirittura) una canzone sentimentale gioiosa e felice.; anzi le stesse “ore” che risuonano dalle torre del Palazzo di San Petronio vengono deformate in una prospettiva straniante (vv. 5-6: “[...] roche per l’aëre le ore | gemon [...]”), ed evocano (con un implicito passaggio di grado nella mente del poeta) “un mondo lungi dal dì”, e cioè già proiettato nelle ombre dell’oltretomba.

La seconda parte di Nevicata, lasciato ormai cadere quasi ogni appiglio alla realtà atmosferica concreta, sviluppa allora questa specie di proiezione allucinata: gli uccelli “raminghi” (ovvero sperduti ed esuli) che battono ai vetri della finestra evocano gli “spiriti reduci” degli amici già sottratti alla vita dalla morte; questi, come provvisoriamente ritornati sulla Terra, invitano pure il poeta a seguirli. E l’ultimo distico, dove Carducci invita il cuore “indomito” a tacere, suona come una promessa che si realizzerà a breve: anche il poeta, di fronte al dolore della vita, accetterà il “silenzio” e “l’ombra”.

Stilisticamente, Nevicata ripresenta alcuna caratteristiche tipicamente carducciane: oltre al metro “barbaro”, il tocco “sfumato”e l’attenzione alla dimensione fonica, cui s’aggiungono la sintassi studiata (e spesso costruita sull’enjambement, come ai vv. 5-6 e 7-8) e il ricorso ad una evidente simbolismo (la neve, gli uccelli, il cuore). Il tutto sottolineato ulteriormente dalla collocazione del testo nella raccolta delle Odi barbare in cui occupa il penultimo posto, prima del Congedo: una sorta di (ulteriore) addio alla vita.

 

Parafrasi

 

Metrica: distici elegiaci “barbari”; l’esametro classico è sostituito da un settenario (un ottonario al v. 7) e un novenario, mentre il pentametro da un settenario e un ottonario tronchi.

  1. Lenta fiocca la neve pe ’l cielo 1 cinerëo 2: gridi,
  2. suoni di vita più non salgon 3 da la città,
  3. non d’erbaiola 4 il grido o corrente rumore di carro,
  4. non d’amor la canzon ilare e di gioventú.
  5. Da la torre 5 di piazza roche per l’aere le ore
  6. gemon 6, come sospir d’un mondo lungi dal dí.
  7. Picchiano uccelli raminghi a’ vetri appannati: gli amici
  8. spiriti reduci son, guardano e chiamano a me 7.
  9. In breve, o cari, in breve - tu càlmati, indomito cuore 8 -
  10. giú al silenzio verrò, ne l’ombra riposerò 9.
  1. La neve turbina lenta nel cielo color cenere:
  2. non si sentono più salire dalla città grida e suoni di vita,
  3. non le grida della fruttivendola o il rumore di un carro,
  4. non la canzone felice dell’amore e della giovinezza.
  5. Dalla torre della piazza i rintocchi delle ore sembrano gemere
  6. attutite dall’aria, come un sospiro proveniente da un mondo fuori dal tempo.
  7. Uccelli sperduti picchiettano contro i vetri appannati: gli spiriti degli amici
  8. sono tornati dall’oltretomba, mi osservano e mi chiamano.
  9. A breve, cari, a breve - tu calmati, cuore indomabile -
  10. arriverò giù dove tutto è silenzio, riposerò nell’ombra.

 

1 la neve pe ‘l cielo: la neve sembra non tanto cadere dal cielo quanto roteare immobile in esso; da subito, l’immagine che caratterizza il componimento è quella della staticità.

2 cinerëo: l’unica nota di colore in tutto il componimento è quella di un grigio funebre e malinconico.

3 più non salgon: il poeta si trova nel suo studio, ma sembra evocare un luogo lontano dal mondo e avulso dalla realtà.

4 erbaiola: tutta la prima parte della poesia si riferisce a quelle situazioni concrete (come le urla di una fruttivendola per strada) che la neve ha praticamente cancellato dal mondo: tutto ciò contribuisce al clima mesto del componimento.

5 Da la torre: Carducci si riferisce implicitamente alla torre del Palazzo del Comune, in piazza San Petronio.

6 gemon: il forte enjambement di questi versi introduce la seconda parte del componimento, in cui si sviluppa la riflessione del poeta sul senso e il significato della morte.

7 a me: il complemento di termine, invece di me, sottolinea la perentorietà del richiamo di morte degli uccelli.

8 indomito cuore: perché non riesce ad abbandonare le illusioni della vita.

9 riposerò: la poesia si chiude su una volontà di addio alla vita, dettata dalle drammatiche circostanze autobiografiche che colpiscono Carducci, quale la  morte di Lidia nel febbraio del 1881.