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"Tanto gentile e tanto onesta pare" di Dante: analisi e commento

Parafrasi Analisi

Inserito nel capitolo XXVI della Vita Nova, Tanto gentile e tanto onesta pare è indubbiamente uno dei sonetti più celebri non solo del poeta Dante Alighieri, ma di tutta la tradizione lirica italiana.

Il poeta infatti vi definisce, con massima precisione terminologica, quelli che poi diverranno veri e propri canoni della poetica stilnovista. L’apparizione di Beatrice - la “donna mia” del v. 2, cui il poeta intende riferirsi per celebrarne le lodi e non certo per affermarne il possesso - è infatti paragonata a quella di una forza sovrannaturale; anche l’elemento topico del ‘saluto’ (che Dante recupera da tutta la tradizione cavalcantiana antecedente, senza dimenticare Guinizzelli o prima di lui Jacopo da Lentini) priva il poeta (e con lui tutti gli astanti) sia della facoltà di parola che del coraggio di contemplare la bellezza di lei. Dante può così tematizzare la nuova poetica della lode, caratteristica della seconda parte dell Vita Nova, per celebrare di conseguenza l’effetto salvifico che l’amore ha su chi è in grado di provarlo: Beatrice diventa così “cosa venuta da cielo in terra” (vv. 7-8), ed è al tempo stesso ancella d’Amore ed emissaria di Dio.

Eppure, anche se Dante stesso dice che “questo sonetto è sì piano da intendere” da non necessitare alcuno commento, occorre prestare attenzione. Come sottolineato a suo tempo dal critico Gianfranco Contini (Esercizio d’interpretazione sopra un sonetto di Dante, in Un’idea di Dante, Torino, Einaudi, 1970, pp. 21-31), il poeta utilizza una terminologia tanto specifica quanto precisa: ad esempio, nel primo verso, “gentile” ed “onesta” - a differenza dell’uso dei nostri giorni - alludono rispettivamente alla nobiltà d’animo della donna stilnovista (come già avveniva nella lirica cortese) e, secondo l’etimologia latina, alla compostezza di modi ed atteggiamenti della donna di fronte a chi la ammira; lo stesso verbo “pare” non si riferisce ad una percezione vaga ed informe, ma si riferisce - come una vera e propria “parola-chiave”, afferma Contini - all’evidenza (plastica e teologica insieme, nella mentalità medievale di Dante) con cui Beatrice si manifesta al poeta e al suo lettore. A Dante preme insomma sottolineare un elemento fondamentale: l’esperienza d’amore non è solo un fatto individuale, ma acquista una sua propria oggettività ed universalità, cui si ricollega la missione salvifica di Beatrice (vv. 5-8: "Ella si va, sentendosi laudare, | benignamente d'umiltà vestuta; | e par che sia una cosa venuta | da cielo in terra a miracol mostrare"). La visione concreta e trascendentale dell'amata è così motore dell'ispirazione amorosa, che induce l'anima a sospirare (vv. 12-14).