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D'Annunzio e i romanzi dopo "Il Piacere": "Giovanni Episcopo", "L'innocente", "Il trionfo della morte"

All’interno del laboratorio dannunziano, Il Piacere inaugura una significativa parentesi romanzesca che negli anni successivi vede lo scrittore abruzzese pubblicare ben tre libri (Giovanni Episcopo, L’innocente e soprattutto Il trionfo della morte) che, oltre a riproporre e sviluppare l’immaginario estetizzante e decadente della prima opera, diffondono ulteriormente il nome dell’autore, e ne incrementano il successo. D’altra parte, con i primi anni Novanta del secolo XIX, D’Annunzio conferma di saper cavalcare con abilità le “mode” più redditizie: dopo gli esordi carducciani (in poesia) e pseudo-veristi (con Terra vergine e San Pantaleone), ora è la volta di “ispirarsi” alla narrativa russa (Tolstoj e Dostoevskij su tutti) che le traduzioni francesi contribuiscono a diffondere (a volte, in maniera parziale e superficiale) presso il pubblico europeo di quegli anni.

 

Il modello narrativo “russo” è per altro funzionale a proseguire l’operazione dannunziano di smontaggio del naturalismo (già annunciato ne L’ultimo romanzo, anticamera teorica de Il Piacere) in direzione di un crescente psicologismo, tramite cui analizzare, con compiaciuta immedesimazione, gli anfratti della personalità dei protagonisti, già avviati sulla strada del futuro superomismo dannunziano. Così Giovanni Episcopo, pubblicato nel 1891 prima sulle colonne della «Nuova Antologia» di Firenze e poi in volume, racconta in prima persona la storia (che ricorda un uomo del “sottosuolo” di Dostoevskij) di un mite e grigio impiegato, che sposa Ginevra, cameriera bella e sfrontata, da cui ha un figlio, Ciro. I dissapori coniugali porteranno Giovanni, perso anche il lavoro, sulla strada dell’alcolismo; quando poi un ex collega dalla forte personalità, Giulio Wanzer, gli si introfulerà in casa, il protagonista si ribellerà tragicamente alla situazione uccidendo il rivale. Il successivo romanzo (pubblicato sempre nel 1891, e che con Il Piacere e Il trionfo della morte costituirà la "trilogia della “Rosa”) è L’innocente, in cui D’Annunzio conserva la tecnica della narrazione in prima persona e la trama costruita attorno ad un’azione delittuosa. Qui l’ennesima figura superomistica è Tullio Hermil, un ex diplomatico che, sprezzando qualsiasi regola o legge morale che limiti la sua esistenza al di sopra della norma, tradisce continuamente la moglie Giuliana. Quando però anche la donna si concede un’esperienza extraconiugale, rimanendo incinta di uno scrittore, scatta in Tullio un meccanismo nevrotico, che si traduce in una sotterranea ansia di vendicarsi, una volta nato il bambino, di quello che egli considera un intruso. Così, in una gelida notte invernale, Tullio, con la sotterranea complicità di Giuliana, espone al gelo il figlio illegittimo, che di lì a poco muore. Tutta la vicenda è narrata in analessi da Hermil medesimo.

 

Dopo la parentesi del Poema paradisiaco, D’Annunzio torna un’altra volta alla narrazione in prosa: nel 1894 è il turno de Il trionfo della morte, cui lo scrittore ha cominciato a lavorare sin dal 1889. Il modello forte alle spalle, questa volta, è Nietzsche che larga parte avrà (non solo in D’Annunzio, che lo cita in esergo dell’opera) nell’elaborazione della filosofia del “superuomo” (in tedesco, Übermensch): protagonista è Giorgio Aurispa, che, quasi in memoria dell’Andrea Sperelli del Piacere, vive una relazione tormentata ed autodistruttiva con Ippolita Sanzio, donna sposata e maschera letteraria di Barbara Leoni, donna amata dal poeta, che inserirà di peso nel romanzo anche le lettere private con lei. Giorgio, per sfuggire all’inerzia connaturata alla sua natura egoistica e narcisa, prova a rifugiarsi nei valori dell’arte, nel mondo della Natura (con il rientro in terra d’Abruzzo), oppure nella cerchia della famiglia e della fede. Ma tutti gli sforzi saranno vani: il suo male dell’anima lo porterà all’omicidio-suicidio, gettandosi da una rupe abbracciando Ippolita per l’ultima volta.