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Calvino e la fantascienza: dalle "Cosmicomiche" a "Ti con zero"

Commento Calvino e la fantascienza

Quando nel 1965 escono presso Einaudi Le cosmicomiche, è chiaro a tutti – e a Italo Calvino per primo – che si è consumata una vera e propria svolta nel percorso dello scrittore sanremese. Tramontata con La giornata di uno scrutatore (1963) l’ambizione al romanzo realista e impegnato, Calvino dimostra la natura eclettica della propria ispirazione pubblicando una raccolta di racconti a base fantascientifica. Ma si tratta di una fantascienza molto particolare: a differenza della classica science-fiction, queste brevi storie non sono ambientate nel futuro, bensì nel passato.

 

Calvino prosegue in qualche modo il percorso a ritroso che lo aveva portato a raccontare le vicende dei Nostri antenati (1960) e retrocede fino al tempo dell’origine della vita sulla terra, e più indietro ancora all’origine del mondo. Come lui stesso aveva notato - in una introduzione del 1968 - non si tratta di avvicinare ciò che è lontano, bensì del contrario: “io vorrei servirmi del dato scientifico come d’una carica propulsiva per uscire dalle abitudini dell’immaginazione, e vivere anche il quotidiano nei termini più lontani dalla nostra esperienza” (Premessa 1968, in Romanzi e racconti, vol. II, Mondadori, p. 1300). Alla base della creazione narrativa, c’è però anche la curiosità di un lettore dilettante ed appassionato di scienze (“io sono un profano che si appassiona di astronomia, cosmogonia e cosmologia”, ibidem), che innesta su una materia apparentemente asettica e “fredda” il gusto e il piacere dell’umorismo comico, che si basa spesso sulle gag delle pellicole del cinema muto. In tutti i dodici racconti (otto dei quali già comparsi in precedenza su «Il Caffè», «Il Giorno» e «l’Espresso») il dato scientifico fornisce lo spunto al racconto: lo schema è ripetitivo e prevede un trafiletto in corsivo che riporta la spiegazione di un fenomeno o di una teoria scientifica, su cui impostare la narrazione che segue. A prendere la parola è sempre la stessa voce, quella del vecchio Qfwfq, personaggio palindromo, dal nome impronunciabile come impalpabile è la sua consistenza. Egli è infatti semplicemente "una voce, un punto di vista, un occhio (o un ammicco) umano proiettato sulla realtà" (Premessa 1968, p. 1301). Qfwq non ha corpo: conserva un’identità vocale, fatta di un’oralità sbrigliata e teatrale, e nello stesso tempo assume tutte le forme possibili e immaginabili, comprese quella del vuoto e degli elementi inorganici che “animano” l’origine della terra. Come nei racconti della tradizione pedagogica (può venire in mente per certi versi Il Bel Paese di Antonio Stoppani del 1876, dove un narratore esponeva a un pubblico di grandi e piccini alcune nozioni di scienze naturali a partire da alcune immagini molto suggestive), Qfwfq racconta la propria esperienza diretta - che spazia da quando si solidificarono i pianeti (Sul far del giorno) alla nascita della vita fuori dall’acqua (Lo zio acquatico e I Dinosauri) - e si profonde nei particolari, sollecitato da un uditorio in ombra ma che non manca di far sentire la propria presenza. In questo modo, i grandi eventi della storia astronomica e geologica vengono tradotti in una lunga saga familiare, popolata di figure incredibili ma ricondotte nella dimensione di una consuetudine domestica (come la nonna Bb’b, la bella Ursula H’x di cui Qfwfq s’invaghisce in La forma dello spazio o il bambino Pfwfp con cui gioca in Giochi senza fine). Ubiquo e camaleontico, Qfwfq sembra del resto proseguire i caratteri eccezionali dei protagonisti della "trilogia degli antenati"; quei caratteri però lo rendono ora un personaggio potenzialmente infinito, capace ogni volta di incarnare i fenomeni di cui parla e di raccontare una storia diversa, così come farà quasi quindici anni più tardi il Lettore di Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979).


Due anni dopo, nel 1967, esce una nuova raccolta impostata ancora sulla linea della fantascienza: Ti con zero, composto di undici testi scritti tra il 1966 e il 1967. Qui l’ispirazione delle Cosmicomiche viene piegata dall’autore a una dimensione astratta e geometrica, come già il titolo cercava di indicare (ispirazione già preannunciata da La spirale, ultimo racconto della raccolta precedente). I primi racconti vedono ancora protagonista la voce di Qfwfq, che si inoltra però nei nuovi territori della biologia cellulare (la sezione Priscilla, divisa in Mitosi, Meiosi, Morte) e arriva persino a imbattersi, come mai era successo, nel "passaggio dalla vita alla morte" (così Calvino nel risvolto di copertina); gli ultimi, più avanti ribattezzati Racconti deduttivi, segnano un trapasso definitivo e mettono in scena nuove voci. L’interesse calviniano per la scienza si fa più astratto e concettuale: ora a interessare sono le possibilità irrealizzate, i modelli di universo possibili, quello che è stato scartato perché l’universo assumesse la forma che l’uomo gli riconosce. Alle suggestioni scientifiche, qui si aggiungono evidentemente le dense letture del Borges più labirintico e dell’Uomo senza qualità di Musil (dove Ulrich vive una vita fatta di pura potenzialità), messe da Calvino in dialogo con le teorie decostruzionistiche e combinatorie al centro del dibattito letterario tra strutturalismo e OuLiPo (per il quale la letteratura era «scienza delle soluzioni immaginarie»). In Ti con zero il racconto non è più il prodotto di un lavoro creativo a partire un’immagine scientifica, ma diventa gradualmente la somma di tutte le possibilità narrative che una situazione data può contenere e sviluppare. Calvino apre così, a cavallo tra scienze naturali e scienze concettuali, la propria stagione combinatoria, che proseguirà poi con Le città invisibili (1972), Il castello dei destini incrociati (1973) e Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979). Sono soprattutto i Racconti deduttivi a sostenere questo nuovo modello narrativo, fondato sulla proliferazione di ipotesi e congetture: la nozione fisica viene ridotta a un puro pretesto, smaterializzata da una traduzione narrativa che mette a confronto una complessità concettuale elevatissima con l’elemento umano, che fa ingresso nel racconto con la propria arbitrarietà (come nel caso della sofferenza amorosa che innesca Il guidatore notturno o del rapporto carcerato-carceriere che produce le riflessioni di Edmond Dantès e dell’abate Faria nel Conte di Montecristo, piccolo capolavoro di logica narrativa).


Cosmicomiche e Ti con zero furono raccolti da Calvino, nel 1968, in un unico volume dal titolo La memoria del mondo e altre storie cosmicomiche (con otto racconti inediti in volume). Il libro non ebbe successo e Calvino ripropose le due raccolte riunite nel 1984, nel volume Cosmicomiche vecchie e nuove, con l’aggiunta di due racconti inediti (Il niente e il poco e L’implosione): qui più che altrove rimane evidente la continuità coerente del percorso di Calvino nei territori astratti e geometrici della sua fantascienza.
 

Bibliografia essenziale:

 

J.L. Borges, Finzioni (1944), Torino, Einaudi, 2005.

I. Calvino, Calvino spiega il suo cosmo, in «Il Giorno», 22 dicembre 1965.

I. Calvino, Premessa 1968 a La memoria del mondo e altre storie cosmicomiche, ora in Romanzi e racconti, vol. II, Milano, Mondadori, 1992, p. 1300-1303.

D. Scarpa, Calvino, Milano, Bruno Mondadori, 1999.

F. Serra, Calvino, Roma, Salerno Editrice, 2006.