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Boccaccio, "Cimone": riassunto e commento della novella

Introduzione

 

Cimone è la prima novella della quinta giornata del Decameron boccacciano, narrata per bocca di Panfilo. Il tema della quinta giornata ha come filo conduttore quello di vicende amorose dalla trama complessa e piena d’imprevisti, ma che si concludono nel migliore dei modi, sempre all’insegna del trionfo del sentimento amoroso. La “regina” che ha dettato queste direttive è Fiammetta, e non è un caso che proprio sotto il suo dominio letterario si sprigioni nella narrazione tutta la forza positiva e trainante dell’amore, che risolve ogni situazione.

 

Riassunto

 

La novella racconta la storia di Cimone, un giovanotto dall’intelletto poco brilante e dai modi piuttosto rudi, figlio di un ricco cittadino di Cipro. Il giovane (il cui vero nome è Galeso, ma che viene spregiativamente chiamato Cimone, soprannome per “bestia”) rifiuta qualsiasi tipo d’insegnamento, tanto che il padre, non riuscendo ad accettare la diversità del suo erede, lo allontana da sé e dagli occhi della gente, segregandolo in campagna. Così inizia il racconto:

Adunque (sì come noi nelle antiche istorie de' ciprian abbiam già letto) nell'isola di Cipri fu uno nobilissimo uomo, il quale per nome fu chiamato Aristippo, oltre ad ogn'altro paesano di tutte le temporali cose ricchissimo; e se d'una cosa sola non lo avesse la fortuna fatto dolente, più che altro si potea contentare. E questo era che egli, tra gli altri suoi figliuoli, n'aveva uno il quale di grandezza e di bellezza di corpo tutti gli altri giovani trapassava, ma quasi matto era e di perduta speranza, il cui vero nome era Galeso; ma, per ciò che mai né per fatica di maestro né per lusinga o battitura del padre, o ingegno d'alcuno altro, gli s'era potuto mettere nel capo né lettera né costume alcuno, anzi con la voce grossa e deforme e con modi più convenienti a bestia che ad uomo, quasi per ischerno da tutti era chiamato Cimone, il che nella lor lingua sonava quanto nella nostra Bestione.

Un giorno Cimone, durante una passeggiata nel suo esilio bucolico, incontra per caso una meravigliosa ragazza addormentata sotto ad un albero, Efigenia, raffinata figlia di Cipseo. Cimone se ne innamora perdutamente e, rifiutato però dalla giovane, decide d’impegnarsi in un’opera di rinnovamento e miglioramento di sé, per riuscire a conquistarla. Il nostro “bestione” diventa così un uomo colto e raffinato, cultore delle lettere e dell'arte militare, ed amante della vita lussuosa. Il padre Aristippo entusiasta del cambiamento del figlio, lo riaccoglie accanto a sé in città. Si scopre però, malauguratamente, che Efigenia è destinata ad un altro uomo, Pasimunda, un giovane esponente della nobiltà di Rodi. Cimone, divenuto anche un abile corsaro, non si arrende e si lancia all’inseguimento della nave che porta la sua amata dalla città natìa a Rodi, dove saranno coronate le nozze con Pasimunda. Raggiunta l’imbarcazione e rapita Efigenia, il nostro eroe spinto dal fervore amoroso, fa rotta verso Creta, immaginando Cipro ancora poco sicura per il loro approdo. La sfortuna vuole che una tempesta improvvisa conduca la loro nave di nuovo a Rodi dove vengono incarcerati.

Ed è proprio in questo frangente apparentemente disperato che tutta la forza dell’amore si sprigiona e risolve la situazione: avviene infatti che lo stesso giorno del matrimonio tra Efigenia e Pasimunda si celebrino anche le nozze del fratello di questo, Orsimida, con una fanciulla di nome Cassandra. Di questa seconda donna è tuttavia innamorato proprio il governatore di Rodi, Lisimaco, che coinvolge Cimone nel suo piano per mandare a monte le nozze delle due coppie. Così Cimone e Lisimaco, dopo uno scontro violento in cui Orsimida vien ucciso dal protagonista, rapiscono le due ragazze e si trasferiscono tutti e quattro a Creta, attendendo il momento migliore per fare ritorno in patria. Amici e parenti si attivano allora per aiutare i protagonisti, e dopo qualche tempo le due giovani coppie possono rientrare rispettivamente a Cipro e a Rodi, e vivere tranquillamente il loro amore:

In Cipri e in Rodi furono i romori e' turbamenti grandi e lungo tempo per le costoro opere. Ultimamente, interponendosi e nell'un luogo e nell'altro gli amici e i parenti di costoro, trovaron modo che, dopo alcuno essilio, Cimone con Efigenia lieto si tornò in Cipri, e Lisimaco similmente con Cassandra ritornò in Rodi, e ciascun lietamente con la sua visse lungamente contento nella sua terra.

 

Cimone e la tradizione stilnovistico-cortese

 

In questa novella Boccaccio ci presenta il sentimento amoroso in una luce positiva e nobilitante: grazie ad esso infatti Cimone si evolve dalla sua situazione iniziale di giovane rozzo e ignorante, recupera la stima del padre e diventa un combattente glorioso e coraggioso. In poche parole, egli acquisisce quella mentalità moderna e mercantile che vede nell'impegno attivo delle proprie risorse personali il mezzo principale per migliorare la propria condizione (economica o affettiva che sia). In più, la novella, ricca di colpi di scena e di eventi imprevisti, introduce due temi tipicamente rinascimentali, che Boccaccio anticipa: la "virtù" e la "fortuna" (ovvero, le risorse individuali e la capacità di cogliere l'attimo giusto) sono i punti cardinali del nuovo sistema di valori proposto ai lettori e alle lettrici del Decameron.

Rilevante è pure la componente intertestuale della novella: il percorso di maturazione ed autoperfezionamento di Cimone per diventare un compagno degno di Efigenia è stimolato dall’amore, così come nella poetica dello Stilnovo lo sguardo salvifico della donna amata - basti pensare a Tanto gentile e tanto onesta pare - è propedeutico ad un processo di spiritualizzazione delle passioni terrene e di elevazione verso Dio. La salvezza dell’anima diventa il premio finale del perfezionamento di sé e della stessa esperienza amorosa. Qui si capisce che l’incivilimento di Cimone, che “quasi matto era e di perduta speranza”, è invece dettato da tutt’altra necessità, ovvero quella di sedurre e conquistare la bellissima Efigenia. Anche in questo senso Boccaccio, che è grandissimo ammiratore di Dante, fa da tramite con il suo Decameron tra due sistemi di valori: da un lato quello aristocratico-cortese, del quale si rispettano le convenzioni e si ammirano i valori, e dall’altro quello borghese-mercantile, di cui da subito si sottolineano le potenzialità nel mettere a frutto le “virtù” del singolo, nel gran gioco della “fortuna”.

 

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