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Aristotele, "De anima" e altri testi sulla conoscenza

Uno dei punti che più separa le filosofie di Platone ed Aristotele è senza ombra di dubbio quello che riguarda l’indagine (e quindi la conoscenza) del mondo sensibile che ci circonda. Se la dottrina delle idee sottolineava che ciò che abbiamo di fronte a noi nel mondo altro non è che copia imperfetta di un mondo ideale e trascendente, il pensiero aristotelico imprime una netta svolta metodologica per la ricognizione del mondo esterno. Tuttavia, nell’elaborazione della sua dottrina, Aristotele non invita semplicemente a rivalutare la realtà come essa ci appare agli occhi, ma sviluppa e definisce anche una serie di strumenti e di concetti che stanno alla base del suo metodo scientifico e che, su più larga scala, influenzeranno profondamente il pensiero filosofico e scientifico dei secoli a venire.

 

Al recupero dei quattro elementi fondamentali (nell’ordine: terra. acqua, aria, fuoco) che spiegano ed illustrano la composizione delle sostanze del mondo sublunare (assieme alle qualità basiche di “secco”, “umido”, “caldo”, “freddo”), segue l’indicazione delle aitiai (le “cause”) del mutamento che caratterizza il mondo: la causa materiale (hyle), la causa formale (eidos), la causa efficiente o motrice (archè tes metabolès), la causa finale (tèlos). La coppia di termini “potenza” (dỳnamis) ed “atto” (a sua volta distinto in entelècheia ed enèrgheia) serve poi completare e ad integrare le testi precedenti sul mondo fisico e, in particolare, sull’annosa questione del divenire.

 

La filosofia della natura aristotelica si basa allora sulla convinzione ottimistica che è possibile arrivare ad una conoscenza del mondo, applicando con cura le suddivisioni che il filosofo propone. Nel primo libro del De partibus animalium, Aristotele chiarisce la differenza tra mondo celeste e mondo corruttibile sublunare, ma, pur ammettendo che “entrambi i campi di ricerca hanno la loro bellezza”, afferma che è quest’ultimo quello che conosciamo meglio, dato che anche noi uomini ne facciamo parte:

 

Della realtà che sussistono per natura, alcune, ingenerate e incorruttibili, esistono per la totalità del tempo, altre invece partecipano della generazione e della distruzione. Circa le prime, che sono nobili e divine, ci tocca di aver minori conoscenze, giacché pochissimi sono i fatti accertati dall’osservazione sensibile a partire dai quali si possa condurre l’indagine su tali realtà cioè su quanto aneliamo di sapere. Quanto invece alle cose corruttibili, piante e animali, la nostra conoscenza di esse è più agevole grazie alla comunanza di ambiente. Molte conoscenze attive relative a ciascun genere può infatti ottenere chi voglia adoperarvisi adeguatamente. [...] Le altre realtà [quelle sublunari], però, grazie alle possibilità di conoscerle in modo più profondo e più esteso, danno luogo a una scienza più vasta.

La riflessione di Aristotele sul tema, si sa, è assai ampia; nel De caelo (titolo latino dell’originale Perì ouranòs), il filosofo presenta il  suo punto di vista sulle faccende cosmologiche. In questo passo, ad esempio, si definiscono la natura del moto rettilineo e di quello circolare:

 

Il moto locale, che è quello che noi chiamiamo “traslazione”, è sempre o rettilineo, o circolare, o misto di questi due: perchè semplici sono questi due soli. E la ragione è che ci sono anche due sole grandezze semplici, la retta e quella circolare. Circolare è il movimento intorno al centro, rettilineo quello verso l’alto e il basso. Verso l’alto dico poi il moto che s’allontana dal centro, verso il basso quello in direzione del centro.

Anche la psicologia, intesa come studio della psychè (“anima”) rientra nel campo delle scienze fisiche. Nel De anima, scritto della maturità avanzata del filosofo, la definizione del proprio oggetto di studio è correlata alla facoltà dell’intelletto (che Aristotele indica con il termine cruciale di nous), e all’unione di sostanza ed essenza:

 

S’è dunque detto, in generale, che cos’è l’anima: essa è sostanza nel senso di forma, ovvero è l’essenza di un determinato corpo. Così se uno strumento, ad esempio una scure, fosse un corpo naturale, la sua essenza sarebbe di essere scure, e quest’essenza sarebbe la sua anima. Tolta questa essenza, la scure non esisterebbe più se non per omonimia. [...] In effetti l’anima non è l’essenza e la forma di un corpo di quella specie, ma di un determinato corpo naturale, che ha in se stesso il principio del movimento e della quiete.